Oggi recensiamo… Goat Girl – “On All Fours” (Rough Trade, 2021)

di Agnese Alstrian

Negli anni successivi alla pubblicazione del loro primo album, le Goat Girl sono cresciute tanto: da giovani sperimentatrici in erba che esordirono con un album dalle sonorità misteriose e affascinanti, con testi prodotti durante l’adolescenza che inglobavano temi pubblici e privati, si sono evolute verso territori più profondi e maturi. Nei tre anni che dividono Goat Girl da On All Fours, la band ha affrontato battaglie personali, sperimentato con gli strumenti, si è impegnata in varie forme di attivismo, ha attraversato l’isolamento della pandemia: in questo secondo disco è evidente la crescita individuale di ogni membro del gruppo, che attraverso la musica e le parole esplora ambienti sia all’interno che fuori di sé. I testi di On All Fours parlano di esperienze soggettive, di ambiente e catastrofi climatiche, di salute mentale, di politica, della società in cui viviamo; musicalmente, si continua sulla scia dei suoni umidi e bizzarri del primo disco, ma stavolta si avverte più sicurezza, più densità, le voci si sovrappongono e si intrecciano in spirali incantate, ci si passa il microfono tra un brano e l’altro.

Foto di Matilda Hill-Jenkins

La nuova disinvoltura già si avverte dalla prima traccia, Pest, che inizia strisciando lentamente per poi esplodere nella seconda parte, facendoci capire sin dall’inizio che le Goat Girl non hanno intenzione di abbassare la guardia; Badibaba ha un ritornello allegro e giocoso che ci ricorda un mondo fatto di maschere e filastrocche, mentre Once Again si divide tra un ritmo incalzante e rullante e un reggae sonnolento. In P.T.S. Tea Rosy Bones racconta una sua personale, spiacevole vicenda con un uomo ottuso, presa ad esempio delle molestie subite da gente inopportunamente curiosa della sua identità di genere, a volte toccando l’aggressività:

There’s something in your eyes

They’re looking for the prize, that’s not me

Don’t look thеre now

Don’t burn me later

(“C’è qualcosa nei tuoi occhi / Stanno cercando il premio, non sono io / Non guardare lì ora / Non bruciarmi dopo”)

L’apice emotivo del disco si raggiunge con Sad Cowboy – il primo singolo estratto dall’album -, una traccia che ammalia e riempie di malinconia sin dal primo ascolto. I sintetizzatori ci avvolgono e ci trascinano in un mondo dai colori vibranti come quello raffigurato in copertina, con Lottie Cream che esegue quella che forse è una delle sue performance vocali migliori di sempre: la sua voce calda e delicata, a tratti monotona in modo affascinante, ci sussurra un testo che parla di disillusione e perdita del contatto con la realtà, una sensazione di cui tutti abbiamo fatto abbondante esperienza e che, forse proprio per questo, colpisce dritta al cuore con particolare intensità lasciando un segno indelebile. Il tema dell’ambiente, più che mai attuale ed urgente, è protagonista di The Crack, che illustra un futuro distopico in cui gli umani si trasferiscono in massa in un altro pianeta dopo aver reso la Terra completamente inabitabile.

Frame tratto dal videoclip di “The Crack”, diretto da Molly Ann Pendlebury

La salute mentale diventa il punto cardine dei due brani successivi, Closing In e Anxiety Feels, cantati rispettivamente da Lottie e da Ellie Rose “L.E.D.” Davies: nel primo, Lottie descrive l’ansia come un fantasma che attraversa le mie ossa, entra dentro e controlla tutto, corpo e mente; nel secondo, Ellie riflette sui pro e contro degli ansiolitici: da un lato vorrebbe prenderli, dall’altro teme di anestetizzarsi e di diventare insensibile, ma resta sempre il senso di confusione ed impotenza:

Please don’t leave me alone

Staring out the window

I know I should get out the house

Make myself useful

(“Per favore non lasciarmi sola / A guardare fuori dalla finestra / So che dovrei uscire di casa / Rendermi utile”)

Seguono il ritmo sincopato di They Bite On You, il pop coinvolgente di Bang e poi Where Do We Go From Here?, una dettagliata descrizione dell’ideale dissezione di Boris Johnson, che materializza e porta a galla tutto il marcio che si cela dentro ogni conservatore; infine, l’album si chiude con l’elegantissima A-Men (che per la seconda volta vede Rosy alla voce), ricca di tintinnii cristallini e assoli di chitarra che ricordano le evanescenti melodie orientali.

On All Fours è il prodotto di una band cresciuta sotto tutti i punti di vista, in primis quello musicale e quello umano. Le Goat Girl hanno le idee chiare, sono maturate e sanno di cosa vogliono parlare e come trasformare i loro pensieri in suoni capaci di dipingere paesaggi fantastici: nonostante i vari ostacoli che si sono presentati lungo loro il cammino, non si sono lasciate abbattere e hanno realizzato un secondo album (generalmente considerato il più difficile) che è un piccolo gioiello, carico di integrità e sensibilità; un’accurata fotografia del nostro tempo e delle difficoltà che tutti noi stiamo attraversando in quanto giovani, donne, queer – con particolare attenzione alla situazione in Regno Unito – ma anche una piccola capsula temporale piena di speranza e saggezza per quelli che verranno dopo di noi.

Foto di Holly Whitaker

Lascia un commento